Ad Auschwitz c’era un’orchestra
- Prod. 2023
Un uomo entra in un teatro per assistere ad un concerto di musica classica. Si siede, chiude gli occhi e comincia ad ascoltare le prime note delle musiciste sul palco. Si è appassionato alla musica classica durante la guerra perché, svolgendo il suo sporco lavoro di SS nel campo di Auschwitz-Birkenau, ha conosciuto l’orchestra femminile di Auschwitz. Quelle donne, quelle musiciste, gli hanno lasciato una pesante eredità…. la passione per la musica classica e lui, ormai, non può più farne a meno. Peccato che, ad ogni concerto, la musica che ascolta lo riporti a quei giorni, alle violenze che quelle donne hanno vissuto e alle quali ha preso parte. Il tempo passa, la memoria ed il rimorso lo mordono come un mastino fino all’ultimo concerto a cui potrà assistere.
Recensione allo spettacolo:
“Ad Auschwitz c’era un’orchestra”, più di una per la verità. Nei campi dì concentramento i comandanti nazisti misero insieme diverse orchestre col ruolo di compiacere i gerarchi e di scandire le attività del giorno. Dal lavoro all’ultima “passeggiata” verso le camere a gas, le compagini musicali avevano un ruolo importante di accompagnamento. Da questo antefatto, ispirato dall’omonimo libro di Fania Fénelon, nasce il testo dello spettacolo ideato da Massimiliano Pegorini in scena al Teatro Filodrammatici di Cremona. Lui, il protagonista, arriva dal pubblico applaudendo il primo brano di un concerto a cui è presente. Egli è un soldato, probabilmente ufficiale, e ricorda che viveva la vita del campo col disprezzo richiesto al proprio ruolo, con ciò che gli è stato insegnato ed inculcato. Fra un’atrocità e l’altra si rende gradualmente conto di avere una coscienza. Prova dei sentimenti per queste orchestrali. Riesce a farsi assegnare al controllo dell’orchestra femminile. Ha paura. Si rende conto di provare terrore ed un inaspettato rimorso. L’orchestra suona, lui riesce quantomeno a non farsi temere da quelle donne a far aver loro anche del pane e del formaggio, ciò che di meglio potesse fare per loro. L’orchestra ora non c’è più, c’è lui nel suo salotto che accende la radio, estrae un’arma e pone fine al proprio tormento. Ma improvvisamente, dopo un brano musicale, ha di nuovo vita e si rivolge al pubblico: “Credevate fossi morto? Sono ancora vivo, nella quotidianità. Grazie a tutti voi”. Pegorini descrive un monologo intenso, denso di rabbia, di passione, di tormento, orrore, inquietudine, paura. Trova il modo di vergare le parole con una forza inaspettata che tiene tutti incollati alla poltrona. Tra un brano e l’altro i bellissimi interventi musicali delle tre violiniste Angela Alessi con le due allieve Sofia Catalano e Alice Petrushev. La scelta del repertorio operata dalla stessa Alessi ha riguardato i brani originali per tre vìolini, con l’eccezione di un duetto di De Bériot e della bellissima (nonché ostica) fuga dalla Sonata per Vìolino Solo No. 1 in Sol minore di J. S. Bach. Molte pagine interessanti del repertorio hanno ritrovato nuova luce sfiorando compositori come Paganini, Seitz, Gieseking, fino a Trapkus. Le tre musiciste trovano un’alchimia particolare e riescono a trasportare la platea nell’evocazione delle immagini terribili della Shoah. Il suono dello strumento ad arco, a tratti stridente, a tratti vibrato, a tratti usato col glissando, porta suggestioni intense e profonde. Sul palco del Filodrammatici è andato in scena uno spettacolo di rara bellezza che dovrebbe essere portato ovunque, a perenne memoria degli orrori commessi dai nazifascisti nei campi di sterminio. E, come dice Pegorini alla fine raccogliendo i meritati applausi del pubblico, “dovrebbe servirci a fare in modo che non accada mai più nulla di simile, perché il rischio è nel quotidiano, dietro l’angolo”. Grande consenso del pubblico e qualche occhio lucido hanno incorniciato una serata certamente non a cuor leggero, ma che con l’arte ha saputo toccare gli anfratti più remoti delle coscienze di ciascuno di noi.
Loris Braga (CremonaSera)